Quasi mezzo milione di posti vacanti per mancanza di competenze

Marco AbbonizioIl mondo della Formazione

Il fenomeno dello skill-shortage colpisce l’Italia: mancano lavoratori specializzati in diversi settori, e le aziende faticano terribilmente a trovare le risorse giuste

“Se sai fare sei padrone del tuo futuro”: ci verrebbe da esordire così parlando della situazione che l’Italia sta attraversando – con un incremento costante dei numeri – ormai da diversi anni.

Di cosa parliamo?

Del fenomeno dello skill-shortage, la carenza di competenze che caratterizza le persone che sono alla ricerca di un’occupazione nel nostro Paese, e che ha messo al tempo stesso le aziende in una situazione complicata, che vede oltre 400.000 posti di lavoro vacanti per i quali è praticamente impossibile reperire le giuste risorse.

Una situazione paradossale, soprattutto se si pensa che adesso sarebbe di fatto il lavoratore (con determinate competenze) a poter decidere per quale azienda andare a lavorare, e non viceversa.

Ma quali competenze abbraccia il famigerato skill-shortage?

Vediamolo nei numeri…

Dall’indagine sviluppata dal sistema informativo Excelsior di Unioncamere in tandem con Anpal, emerge che la difficoltà di reperimento di risorse è arrivata al 36,4% delle imprese, 5,5 punti percentuali in più rispetto allo scorso anno.

Non è tutto però.

Le percentuali infatti aumentano in diversi settori:

  • 51,6% per gli operai specializzati;
  • 48,4% per i dirigenti;
  • 41,4% per le professioni tecniche;
  • 37,7% per le professioni intellettuali e scientifiche;

Non solo dunque lavoratori “digitali”, anch’essi estremamente ricercati nell’epoca della tanto agognata transizione, ma vere e proprie “tute blu” con abilità manuali e tecniche specifiche. L’apoteosi è nel settore tessile e dell’abbigliamento, dove la carenza di operai specializzati raggiunge picchi del 65,5%.

E nell’edilizia?

In questo settore le aziende, nell’era del bonus 110%, sono arrivate a rifiutare le commesse per carenza di personale, e quindi per incapacità di rispettare i termini di consegna. Qualcosa di inimmaginabile fino al secolo scorso.

Ad emergere è dunque una delusione latente da parte degli imprenditori italiani in ogni settore: una delusione dettata dalla difficoltà nel reperire risorse competenti, formate e motivate. Una delusione che porta gli imprenditori a cercare – e trovare – le risorse adatte nell’est Europa.

Ma quale potrebbe essere la via d’uscita per l’Italia in questo senso?

Per uscire dalle sabbie mobili dello skill-shortage il nostro Paese dovrebbe attuare una reale politica di “protezione del lavoro”.

In che modo?

Mutuare la formula squisitamente nordeuropea della coerenza tra formazione e domanda di lavoro, con un monitoraggio costante della coerenza reale fra queste due aree.

In Italia questo dato non viene rilevato, e di conseguenza non viene pubblicato. Per questa ragione attuare l’anagrafe della formazione professionale può rappresentare un punto di svolta per sanare lo skill-GAP.

L’idea della banca dati era per la verità prevista in uno degli 8 decreti attuativi del jobs act, ma le vicissitudini ed il turnover al timone del Paese che si è susseguito negli ultimi anni ha portato ad una fase di stallo che tuttora caratterizza l’Italia della formazione e del lavoro, legata alle regioni ed ancora poco “coerente”, in riferimento a quanto detto sopra.

La strada, per quel che riguarda il mondo della formazione connesso al lavoro, è ancora tutta da scrivere, con l’auspicio che nei prossimi anni si vada sempre più verso la via dello sviluppo concreto di politiche attive strettamente connesse ai fabbisogni delle imprese italiane e dei lavoratori e futuri tali.

Come Human Factory, nei limiti del possibile, siamo da anni vicini a quelle che sono le necessità e le richieste di aziende ed attività di ogni dimensione, con percorsi di formazione disegnati su misura per le imprese ed al contempo con attività che possano permettere ai corsisti che privatamente decidono di intraprendere dei percorsi formativi di essere reinseriti nel mercato del lavoro come risorse formate e pronte ad affrontare le sfide del presente e soprattutto del futuro.

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